La nuova transazione ambientale: il legislatore spariglia le carte?

0 commenti
Sul n. 4/2016 della rivista "Ambiente & Sluppo" (IPSOA), è stato pubblicato un articolo che analizza la nuova transazione ambientale, così come modificata dall'ex collegato ambientale alla legge di stabilità del 2014.
Sul sito di Natura Giuridica si riporta uno stralcio dell'articolo, senza le numerose note di approfondimento, con particolare risalto alle conclusioni.
Per un approfondimento del contenuto della bozza di DPCM, si rimanda all'intero articolo, "La nuova transazione ambientale: il legislatore spariglia le carte?"

La nuova transazione ambientale: il legislatore spariglia le carte?
di Andrea Quaranta e Valoentina Cavanna

L’Agenda verde del Governo
A distanza di due anni dagli sfarzosi annunci con i quali il Governo comunicava di aver approvato “quella che può essere definita «l’Agenda Verde» del governo”, durante i quali si sono susseguiti (e soprapposti) interminabili dibattiti, frettolose correzioni, aggiunte, espunzioni, rinvii, nuovi annunci, restyling (e approfondimenti?), finalmente alla fine del 2015 è stato pubblicato in G.U. l’ex collegato ambientale alla legge di stabilità 2014, divenuto medio tempore “disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali”.
Con il presente contributo intendiamo analizzare, in particolare, le novità introdotte dal legislatore in merito alla “determinazione delle misure per il risarcimento del danno ambientale e il ripristino dei siti di interesse nazionale”, di cui al nuovo articolo 306-bis del Testo Unico Ambientale (il Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006), al fine di valutare in quale misura le novità introdotte dal legislatore in materia di “transazione ambientale” possano eff
ettivamente servire ad accelerare i procedimenti de quibus, a garantire la certezza del diritto in relazione al diffuso contenzioso in materia di danno ambientale con riferimento ai Siti di Interesse Nazionale (“SIN”) e a tutelare più efficacemente l’ambiente. Oppure no.

La galassia degli strumenti transattivi
Prima di addentrarci nei meandri dell’ultima riforma, occorre fare un sia pur sintetico riassunto dell’evoluzione della normativa concernente lo strumento latu sensu della transazione ambientale, che non rappresenta una novità assoluta nel panorama normativo italiano e nella relativa prassi applicativa.
Verso la fine degli anni ’90, infatti, il legislatore ha cominciato a legiferare su specifici procedimenti, oggetto anche in passato di una prassi volta ad accelerare i procedimenti di bonifica e a diminuire gli adempimenti istruttori in capo all’amministrazione, in relazione all’accertamento della responsabilità: con la legge n. 239 del 16 luglio 1998 il legislatore ha adottato il modulo convenzionale per la definizione, in via stragiudiziale, con atti transattivi, della vicenda concernente l'esplosione e l'affondamento della motocisterna Haven, dettando una disciplina specifica delle modalità con le quali la transazione si sarebbe dovuta svolgere.
Due anni più tardi, con la finanziaria per il 2001, il legislatore ha previsto (art. 114, comma 7) una clausola di non punibilità – non solo per “chiunque abbia adottato o adotti le procedure” previste dall’allora vigente “decreto Ronchi” e dal DM 471/99, ma anche per chi “abbia stipulato o stipuli accordi di programma previsti nell'ambito delle medesime normative” – per “i reati direttamente connessi all'inquinamento del sito posti in essere anteriormente alla data di entrata in vigore [del “decreto Ronchi”] che siano accertati a seguito dell'attività svolta, su notifica dell'interessato […] qualora la realizzazione e il completamento degli interventi ambientali si realizzino in conformità alle predette procedure o ai predetti accordi di programma ed alla normativa vigente in materia”. Il programma nazionale di bonifica di cui al DM 468/2001 ha stabilito, pochi mesi più tardi, i criteri per l’erogazione dei finanziamenti ivi previsti, che “sono regolamentati mediante il ricorso agli Accordi di programma da sottoscrivere tra lo Stato, le regioni, gli enti locali territorialmente competenti”.
[…]

La “transazione globale” e la nuova transazione ambientale a confronto
Le due discipline differiscono per una serie di aspetti, sintetizzati di seguito nel seguente punto elenco e schematizzati nel successivo diagramma di flusso:
1) iniziativa: […]
2) contenuto: nella transazione definita “globale” dal D.L. n. 208/2008 lo schema di contratto ha ad oggetto la spettanza e la quantificazione degli oneri di bonifica, degli oneri di ripristino, del danno ambientale e di altri eventuali danni di Stato/enti pubblici territoriali. Il contenuto della nuova transazione è parzialmente difforme, attesa l’impossibilità (almeno a priori) di un ristoro meramente economico del danno ambientale. Innanzitutto, l’art. 306-bis stabilisce la necessità di tenere conto del quadro comune di cui all’Allegato 3 della Parte Sesta del TUA. La proposta individua gli interventi di riparazione primaria, complementare e compensativa; qualora sia formulata per la riparazione compensativa, tiene conto del tempo necessario per conseguire l’obiettivo della riparazione primaria o della riparazione primaria e complementare. […]
3) conseguenze in caso di inadempimento: […]
4) conseguenze della stipula della transazione: […]

La (perenne) transizione ambientale
Se ci si limitasse ad un’analisi sincopata “da TG” – spesso poco più che un insieme di slogan pro o contro – invece che ad un’attenta lettura del dato normativo, scevra da pregiudizi ideologici, la transazione ambientale (quella “globale” e a maggior ragione quella novellata, si suppone in meglio) potrebbe essere considerata – a torto – come la soluzione in grado di risolvere problemi (e le problematiche) ambientali da troppo tempo irrisolti, o al contrario come il “male assoluto”, in grado di vanificare anni di lotte (?) ambientaliste, e in quanto tale da osteggiare a prescindere.
La realtà – molto più prosaica – è che siamo, continuiamo ad essere, in una fase di transizione (ambientale, in questo caso), che visti i presupposti sembra destinata a durare ancora per molto.
Non sono bastate riforme, codificazioni, integrazioni, decretazioni d’urgenza: ogni riforma viene emanata o sulla base dell’emergenza (come avvenuto per la “transazione globale”), o a valle di lunghe “cavalcate normative”, fatte di veti incrociati, attese, riesami, raffazzonamenti “attorno contenuti purchessia, magari pescando a piene mani da appunti, segnalazioni, mezze idee e annotazioni, stratificatisi come fondi di magazzino nei cassetti delle scrivanie dei […] funzionari […] presso i vari ministeri coinvolti” (come avvenuto per l’ex collegato alla legge di stabilità per il 2014 e, di conseguenza, per la transazione novellata).
La transizione da uno schema transattivo all’altro costituisce un’ennesima riprova di questo infausto modus operandi: molti i dubbi sollevati dalla transazione globale, molti gli interrogativi ai quali la nuova riforma non ha dato una risposta.
Certo, in questo passaggio non sembrano mancare – oltre alle buone intenzioni, ampiamente comunicate – anche elementi in qualche modo positivi (anche se…), ma sono molto più numerosi gli elementi critici – gli interrogativi lasciati irrisolti – che rischiano di minare dall’interno il paradigma.
Il primo riguarda l’equilibrio fra interessi economici ed ambientali, che l’accordo transattivo dovrebbe comporre. Fermo restando che tali accordi possono costituire, almeno teoricamente, un prezioso strumento a favore delle imprese, volto a definire la propria posizione in relazione a tutti gli aspetti ambientali e ad evitare un contenzioso giudiziario, dalla durata e dagli esiti incerti, ma anche una deroga ai procedimenti ordinari – altrimenti non avrebbero ragion d’essere – occorre chiedersi se un loro eventuale utilizzo sistematico, sicuramente utile ai fini della riduzione dei costi ambientali, non possa essere, nel medio-lungo periodo, controproducente per il bene-ambiente, che è un bene pubblico ed estraneo agli interessi economici.
Qual è il limite alla negoziabilità, fra le parti, dei livelli di accettabilità che dovranno essere rispettati nel caso in cui debba essere adottato un piano di monitoraggio e controllo, qualora all’impossibilità della riparazione primaria corrisponda un inquinamento residuo che comporta un rischio per la salute e per l’ambiente?
Più in generale, qual è il limite alla discrezionalità della P.A. nella verifica dei requisiti (formali o sostanziali?) elencati nel comma 2?
La seconda categoria di criticità riguarda l’interesse, da parte dei soggetti privati, alla stipula di tali accordi, da un lato, e più in generale la coerenza del sistema ideato dal legislatore.
Fermo restando che, in linea generale transare dovrebbe in ogni caso essere in una qualche misura conveniente, non fosse che per venire incontro ad esigenze di celerità e di certezza, non si può non notare che nel passaggio dalla transazione globale a quella novellata sono stati soppressi tre commi (5, 5-bis e 7), forse nell’ottica di superare alcuni aspetti critici della precedente disciplina (che avevano fatto storcere il naso ai più intransigenti ambientalisti), la cui mancanza ora rischia, almeno sulla carta, di spostare l’equilibrio (instabile) dalla parte del ministero che, sempre sulla carta, può permettersi di (far vedere di) fare la voce grossa (di fronte ai microfoni del “TG”), salvo poi comportarsi pragmaticamente nelle opportune sedi…
L’abolizione del comma 5 della “transazione globale” – quello secondo il quale la stipula del contratto di transazione comportava l’abbandono del contenzioso pendente e precludeva ogni ulteriore azione per rimborso degli oneri di bonifica e di ripristino ed ogni ulteriore azione risarcitoria per il danno ambientale – rischia (almeno sulla carta), di rendere meno appetibile la nuova transazione (non globale) e, di conseguenza, sembra essere inconciliabile con l’obiettivo perseguito dal legislatore.
Che dire, poi, della soppressione del comma 5-bis, in base al quale la stipula del contratto comportava anche la facoltà di utilizzo dei terreni in conformità con la loro destinazione urbanistica, e nel rispetto dei criteri ivi stabiliti?
Qual è la ratio di questo “fermi tutti”, non mitigato dalla previsione di un termine non perentorio?
Ma soprattutto, qual è il significato della soppressione del comma 7, relativo all’utilizzo “dei soli proventi di spettanza dello Stato, derivanti dalle transazioni”? Dove affluiranno, una volta abolito il riferimento “al fondo di cui all’articolo 7-quinquies, comma 1, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33”?
Un ulteriore interrogativo – cui neanche la riforma è riuscita a dare una risposta – riguarda il parere dell’Avvocatura di Stato, che tiene conto anche dei presumibili tempi processuali e dei prevedibili esiti del giudizio pendente o da instaurare: al di là della obiettiva difficoltà di siffatta previsione, perché non prevedere il parere obbligatorio del Consiglio di Stato?
Cosa potrebbe succedere, poi, nel caso in cui la proposta transattiva venga formulata da uno solo dei soggetti obbligati con riferimento all’intera obbligazione, salvo il regresso nei confronti degli altri? Dal momento che l’art. 1304, comma 1, del Codice Civile dispone che la transazione non produce effetto nei confronti dei condebitori che non dichiarano di volerne profittare, quali sono le conseguenze nel caso in cui una delle imprese stipuli una transazione sull’intero e le altre imprese, invece, decidano di proseguire in un eventuale contenzioso con il MATTM?
Qualcuno potrebbe obiettare che la novella apportata dall’ex collegato ambientale apra una (nuova!) fase transitoria, e che soltanto il tempo ci consentirà di comprenderne l’effettiva portata e di scoprire se gli interrogativi posti in questa sede siano destituiti di fondamento, o meno.
È vero.
Ma questa sarebbe, in ogni caso, una giustificazione che non fa venire meno la reale necessità di dare un nuovo corso alle cose, in modo strutturale e strutturato, coordinato e di prospettiva, che consenta nel contempo di tutelare l’ambiente e la salute umana, nonché l’iniziativa economica privata, attraverso una chiara definizione della “posta in gioco” e delle “carte” da poter “giocare”.