Gli scarti alimentari sono sempre sottoprodotti!

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Il TAR Perugia (sentenza n. 274/2010) ha stabilito che gli scarti alimentari devono sempre essere considerati sottoprodotti.

Nelle precedente puntata ("Scarti alimentari: rifiuti o sottoprodotti?") abbiamo introdotto il delicatissimo problema relativo all’inquadramento giuridico degli scarti alimentari (rifiuti o sottoprodotti?), e accennato alle forti conseguenze che tale classificazione può avere sulla salute dell’uomo.

Prudenza e buon senso, concludevo, impongono una generale applicazione agli scarti alimentari della normativa sulla gestione dei rifiuti, e solo in alcuni, specifici casi, da analizzare di volta in volta, gli scarti alimentari possono essere trattati come sottoprodotti.

Cos’ha detto, invece, il TAR di Perugia?

Il TAR umbro (sentenza n. 274/10, gratuitamente scaricabile sul sito di Natura Giuridica, per utenti registrati) ha “analizzato” il caso relativo all’impugnazione (anche) di un verbale di ispezione del Settore Veterinario-Igiene dell’ASL, con il quale si diffidava la ricorrente dall’utilizzare rifiuti di qualsiasi origine per la produzione di mangimi nell’impianto di sua proprietà.

La motivazione di tale diffida si basava, essenzialmente, sul dettato della nota esplicativa del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali del 12 gennaio 2009 (relativa all’utilizzo dei sottoprodotti originati dal ciclo produttivo delle industrie agro-alimentari destinate alla produzione di mangimi), nella quale veniva sottolineato che “gli scarti ottenuti nell’ambito di un processo di lavorazione presso un’impresa del settore alimentare e destinati alla produzione di mangimi vengono ricondotti nell’ambito della categoria dei sottoprodotti”, ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. p), del d.lgs. n. 152 del 2006.

Di conseguenza, secondo tale nota ministeriale:
  • è inapplicabile, agli scarti alimentari, la disciplina sulla gestione dei rifiuti;
  • nel territorio nazionale non possono essere prodotti mangimi, nonché materie prime per mangimi, derivati dai rifiuti.
In definitiva, come ha sottolineato il TAR di Perugia all’inizio della parte in diritto, il caso concerneva la legittimità della riconduzione degli scarti ottenuti nel ciclo di lavorazione effettuato presso le industrie del settore agroalimentare, e destinati alla produzione di mangimi, nell’ambito della categoria dei sottoprodotti, con conseguente inapplicabilità della disciplina propria dei rifiuti.

La ricorrente – una società che da molti lustri esercita l’attività di raccolta e trasporto, stoccaggio, recupero di rifiuti-scarti alimentari ed attività di produzione di mangimi per allevamento animali – evidenziava, nei motivi di ricorso, che l’assioma ministeriale, in base al quale gli scarti delle industrie agro-alimentari, destinati alla produzione di mangimi, devono essere sempre considerati “sottoprodotti”:
  • vìola l’art. 183, comma 1, lett. a) e p), del TUA, e
  • contrasta con la giurisprudenza comunitaria. Quest’ultima, infatti, richiede un accertamento “caso per caso”, senza consentire una sottrazione generalizzata di tali sostanze dal regime nazionale di gestione dei rifiuti, che possono dunque, a certe condizioni, divenire materia prima per la produzione di mangimi attraverso l’attività di recupero.
Tralasciando, in questa sede, la ricostruzione dei fatti, ciò che mi preme evidenziare sono le conclusioni cui è pervenuto il TAR perugino. 
Dopo una rapida ricognizione delle definizioni di:
  • rifiuto, in relazione al quale svolge un ruolo determinante il concetto di “disfarsi”, condotta rispetto alla quale è irrilevante se avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto, ovvero tramite il suo recupero, e
  • sottoprodotto – nozione che ricorre allorché sussistano contestualmente tutte le condizioni di cui all’art. 183, comma 1, lett. p), del cit. T.U.A. – che individua materiali che, dal punto di vista economico, hanno valore di prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e non sono assoggettati alla disciplina dei rifiuti proprio perché il loro riutilizzo non è eventuale, ma certo
il Giudice amministrativo umbro sottolinea che 
“dalla disamina delle suesposte norme appare evidente la inerenza dei sottoprodotti, e non già dei rifiuti, alla utilizzazione per la produzione di mangimi.
E’ infatti l’impresa alimentare che, decidendo in via preventiva di destinare i propri sottoprodotti alla filiera di produzione dei mangimi, ne garantisce il loro riutilizzo sicuro, senza dover fare ricorso a trattamenti o trasformazioni con finalità di risanamento di una materia originariamente non conforme”.
Morale: la tesi della ricorrente non deve essere accolta, e il ricorso pertanto è stato respinto.

Capito?

Le mucche (ma non solo) possono tranquillamente mangiare qualsiasi cosa, perché nel nome della libera circolazione delle merci (i sottoprodotti sono delle merci…) il diritto dell’ambiente, in generale, e quello della salute, in particolare, possono andare a farsi benedire...

Quale "benedizione"?


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